Valentini successi e tormenti
|Le battaglie di Francesco Paolo per la salvaguardia dell’olio e del grano autenticamente made in Italy, nell’anno del Trebbiano record.
LORETO APRUTINO – Terra di leggende che affondano addirittura nella saga dei Paladini di Carlo Magno che, su un colle fra Loreto Aprutino e Moscufo in una notte, avrebbero costruito un città, [1]«divorando per cena mezzo quintale di fave pugliesi e un forno di pane a testa». In un territorio che regala certe mitiche storie, si muove, lavora e produce Francesco Paolo Valentini. A suo modo leggendario. «Sono solo un agricoltore», ama ripetere quasi schernendosi. I 20/20 che la Guida dei vini L’Espresso ha assegnato nel 2014 al suo Trebbiano del 2010 _ un punteggio mai raggiunto da nessun vino italiano _ irrobustiscono l’aura di mito attorno alla cantina più invalicabile d’Italia e forse del mondo. Un successo che affonda le radici nel lavoro, nella sperimentazione, nelle formule misteriose del papà Edoardo. Un vino d’élite frutto dell’etica del lavoro, dell’amore della propria professione. Un destino segnato anche dalle vicende del Regno di Napoli nel 1806. Quando Giuseppe Bonaparte fu rimosso dal fratello Napoleone e mandato a regnare nelle Fiandre, Loreto Aprutino, che era di fede borbonica, come racconta lo storico Tommaso Bruno Stoppa, si sollevò contro i francesi che furono annientati in un sanguinoso agguato.
Con l’insediamento di Gioacchino Murat, la guarnigione francese riprese possesso del paese e le famiglie nobili si fecero carico del vettovagliamento della truppa. Alla famiglia Valentini fu assegnato il compito di garantire l’approvvigionamento _ manco a dirlo _ del vino. Eppure la produzione del vino ad alti livelli è iniziata pochi decenni fa.
Una storia, quella dei Valentini, che affonda le radici fra il XIV e il XV secolo. Partiti da Valencia, approdano in Italia al seguito dei Borgia. [2]«Il primo di cui si sono trovate tracce certe fu Giovanni Battista Valentini, la cui biografia fu ricostruita da Benedetto Croce;nacque a Cantalice nel 1450, oggi provincia di Rieti ma un tempo (fino al 1927, nda) facente parte dell’Abruzzo ulteriore secondo; fu precettore di Lucrezia e Cesare Borgia, che gli diede la possibilità di fregiarsi del suo titolo nobiliare della casata di Valentinois da cui si arrivò al cognome Valentini. Fu scrittore poeta e alto prelato divenendo vescovo di Atri e Penne. In un libro denunciò la corruzione del clero e fu mandato in esilio da queste parti con duemila ettari di terra di “buonuscita”».
La lunga storia familiare la si respira già nell’ampio vestibolo della casa di via del Baio 2 che apre la strada che fronteggia il castello Chiola dove viveva anche Giacomo Acerbo, nel punto più alto di Loreto Aprutino, uno dei più bei borghi d’Italia, avviluppato attorno a una collina che fronteggia la vallata del Tavo. Il campanello che si tira invece che essere premuto, il silenzio che avvolge la casa ( Giorgio Manganelli ci ha ricordato che l’Abruzzo è una fabbrica di silenzi), l’austerità dello studio dove siamo accolti dall’asciutta semplicità di modi della signora Elena, per metà italiana e per metà galiziana, incutono rispetto e ti fanno scivolare in una nuova leggenda, che ha dato statura internazionale [3]«a due uve neglette» come il Montepulciano e il Trebbiano».
Ci racconta dell’unica nevicata del 2013, in novembre, e del vento da nord che ha abbattutto 25 ettari di vigna, non prima di averci offerto il caffè nella buona tradizione dell’ospitalità abruzzese. Francesco Paolo Valentini si considera un anomalo, cura la vigna, il vino, l’olivo, l’olio, il grano, la farina con un fare artigianale, in continua sperimentazione. In cantina non è mai entrato un enologo, qui è considerato «una specie di anticristo». Pur essendo considerata tra le 15 aziende agricole più antiche d’Italia _ l’inizio delle attività la si fa risalire al Seicento _ E’ stato Edoardo, il papà di Francesco Paolo a inaugurare la coltura della vigna. Francesco Paolo ha ricevuto nel 2006 il pesante testimone ma non l’inquieta la mission di famiglia, piuttosto l’angustiano alcune battaglie che porta avanti: dal cambiamento del clima, al falso made in Italy nei comparti dell’olio e del grano. [4]«Per me il passato è parte integrante del presente. E’ un presente che si dilata indietro e avanti». Con buona pace di chi può giudicare anacronistiche certe impostazioni del lavoro. [5]«In famiglia siamo tutti autodidatti… Mi ritengo un artigiano per l’impostazione del lavoro in campagna e in cantina. Inoltre, anche se l’azienda ha una grande estensione, produco al massino cinquantamila bottiglie all’anno. E’ una mia scelta. E’ un lusso rimanere in questa condizione, nel mio piccolo sono un uomo libero e non devo rincorrere determinati successi». L’agricoltore anomalo non riesce a frenare lo sdegno per l’assenza di una politica agricola che tenga conto delle eccellenze della nostra terra.
La Spagna con 14 cultivar di olivi ha una posizione di preminenza in Europa per l’impostazione industriale che ha dato al comparto. L’Abruzzo, da solo, ha 25 cultivar di olivi…. «Assistiamo alla truffa di prodotti made in Italy solo nella confezione, fatta nei nostri confini, poi dentro ci trovi grasso liquido fatto con olii che provengono da altri paesi comunitari. Stesso discorso per il grano. Da qualche anno collaboro con il pastificio Verrigni di Roseto degli Abruzzi, che produce una linea di pasta con grano selezionato della mia azienda. Sulla confezione cerco di spiegare che rinunciare alla qualità non è un risparmio, magari mettendo a rischio la salute. Dal grano non ho grossi ricavi ma quel che conta è il messaggio che passa, la scelta dei prodotti. Se non riesco a pagare con un giusto salario chi raccoglie le olive, allora preferisco che restino sulla pianta, non pagherei con cifre modeste un raccoglitore per rincorrere una certa logica di profitto!».
Un’etica del lavoro che si fa fatica a trovare altrove, ma dalla quale bisogna ricominciare sulla scia degli Amedeo Pomilio e degli Adriano Olivetti.