L’incredibile storia della Fata Minuccia.
|Nel maggio del 1987, in una località di campagna poco fuori Castel di Ieri, lungo la Strada provinciale 9, in direzione di Goriano Sicoli, erano in corso scavi per la costruzione di un capannone ad uso agricolo. Quella che sembrava una giornata come le altre, si trasformò invece per il paese e per i centri limitrofi, in un momento indimenticabile ed emozionante: mentre gli escavatori compivano il loro lavoro, emersero improvvisamente antichi resti e lastre modanate.
Non c’era tempo da perdere: furono contattati subito gli uffici della Soprintendenza per i Beni Archeologici ed avvennero presto i primi sopralluoghi sull’area. Quello ritrovato casualmente quel maggio di trentuno anni fa, era un vero e proprio tesoro, che bisognava riportare alla luce.
Da allora, prima che il tempio fosse visitabile, sono trascorsi quasi vent’anni tra ricerche, scavi, ipotesi, rallentamenti, pubblicazioni, attribuzioni, scoperte e smentite. Gli studiosi sembrano ormai essere d’accordo sulla tesi che vede il santuario dedicato ad una divinità femminile, legata alla fertilità, probabilmente Angizia, dea peligna la cui figura è associata al culto dei serpenti.
Eppure, anche se gli escavatori non si fossero mai imbattuti in quelle lastre e se si fosse deciso di costruire il capannone da un’altra parte, la zona intorno all’area di Piedi Franci non aveva mai perso la sua sacralità, nonostante per secoli, terra, cespugli e alberi, avessero ricoperto i suoi tesori più nascosti.
La strada che collega Castel di Ieri a Goriano Sicoli è disseminata su ambedue i lati, di campi agricoli e vigneti, dove generazioni di contadini per secoli, hanno inarcato le schiene e si sono chinati a seminare e raccogliere. Prima ancora che Castel di Ieri, come tanti altri paesi del meridione italiano, si svuotasse quasi completamente specialmente dopo il secondo conflitto mondiale, le campagne erano gremite di persone: un via vai continuo di voci, canti e parole si snodava lungo i campi e le strade intorno.
Su quelle vie si svolgeva gran parte della vita quotidiana, si faticava, si cantava, si soffriva, e si pregava; non vi sono resti tangibili di questi passaggi, gli stravolgimenti della modernità hanno spazzato via millenni di cultura contadina, eppure la parola tramandata ha saputo resistere al tempo.
Da millenni gli abitanti del posto, usavano, passando dalle parti del tempio allora non ancora riemerso, fare un inchino, un segno di saluto e di rispetto ( presero a fare il segno della croce quando al paganesimo subentrò il culto cristiano); così raccontano ancora gli anziani casteldieresi, in particolare le donne, che ad ora di pranzo si recavano nei campi per consegnare il pasto ai loro mariti e familiari.
Nei ricordi delle leggende tramandate compare, proprio dove ora svetta la struttura del tempio, finalmente restituito ai suoi visitatori, la figura enigmatica della “Fata Minuccia” , l’entità magica che stava da quelle parti e che i passanti usavano salutare, così come la “Regina portata in spalla”.
Si tratta di una figura femminile, che non allude ai serpenti certamente, ma che nell’oralità ha conservato il suo potenziale magico e propiziatorio. Si tratta di una leggenda e non v’è nulla di tangibile materialmente, è soltanto una voce, direbbe qualcuno, eppure esiste ancora oggi, è resistita al tempo, è un passaparola antico, quasi eterno, che non ha origine precisa nè avrà fine certa, almeno fin quando ci sarà un solo abitante a mettere insieme i fili dell’incessante racconto.
Sulle tracce del divino e delle sue tante manifestazioni, la strada che costeggia l’ormai nota area archeologica di Castel di Ieri, porta i segni evidenti lasciati in eredità da chi vi ha vissuto anche nei secoli a venire.
Ancora una volta, anche dopo molti anni, gli abitanti del luogo hanno costruito i propri edifici di culto lungo la stessa rotta: parlo delle due chiese rupestri della Madonna del Soccorso e di quella di Pietrabona, piccoli santuari legati al culto cristiano cattolico e dedicati ambedue alla Madonna, costruiti con ogni probabilità affianco o in sostituzione di antichi luoghi di culto pagani, disseminati già da prima lungo la stessa traiettoria.
Mentre la Madonna del Soccorso è una chiesa campestre risalente al XVII secolo e, come molte altre chiese in Italia, specie del sud, è intitolata con uno degli appellativi più frequenti tramite cui il cattolicesimo venera la madre di Gesù, la Madonna di Pietrabona conserva chiaramente nel suo stesso nome un’eredità molto più antica: l’edificio religioso sorge infatti presumibilmente nello stesso punto dove secoli prima ne sorgeva un altro, appartenente però alla sfera pagana e, nel particolare, alla Dea Bona, divinità venerata anche tra i Peligni.
La chiesa di Pietrabona è attestata da alcune bolle papali già della seconda metà del 1100 e ciò conferma l’ipotesi sincretica; per secoli inoltre è stata anche un romitorio, abitato sino alla metà del 1900, utilizzato anche come nascondiglio da disertori e soldati durante le guerre nonchè come riparo per sfuggire alle tante epidemie di peste della storia, l’altro quello del Soccorso, di costruzione più recente.
E’ curioso, ma nemmeno poi tanto sorprendente, accorgersi che, seppure le epoche di costruzione di tali edifici sacri siano molto lontane tra loro nel tempo, sembra esserci un filo invisibile che li tiene tutti insieme, come esiti unici e differenti dell’ eterna esigenza umana: quella di cercare – spesso invano – una spiegazione alla vita e ai suoi perchè.
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