EXPO 2015: L’ABRUZZO IN UN CHICCO DI GRANO
Quando l’Arte Bianca si colora di Biodiversità
Dalle mie parti, in Abruzzo, ai piedi dei Monti Gemelli, la farina di grano bianca non è poi così bianca. Dalle mie parti, tra le colline di Campli e Civitella del Tronto, si può ancora avere il privilegio di ascoltare il costante e continuo andirivieni, sulla spianatoia, di un setaccio che “vaglia” il frumento macinato a pietra. E ciascuna varietà ha una sua prerogativa, una sua utilità, una sua dimensione e un suo colore. Per usare un termine tanto in voga negli ultimi tempi, ciascun grano è biodiverso dall’altro.
L’antico grano Marzuolo, ad esempio, è un grano duro dal colore scuro e notevolmente resistente alla siccità, che si seminava nelle aree montane e pedemontane in marzo (da qui il nome). Secondo Aurelio Manzi del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il grano Marzuolo potrebbe corrispondere al trimenstre di Columella, cereale utilizzato in epoca romana per la semina primaverile di ripiego. Questa varietà colturale è quasi del tutto scomparsa in Abruzzo. Personalmente, durante una passeggiata a cavallo tra le colline teramane, ho avuto la fortuna di toccare con mano il grano Marzuolo, grazie al buon cuore di un contadino del posto; purtroppo le sementi erano in un evidente stato di “impoverimento genetico”.
Discorso a parte, invece, merita il grano Jervicella, il cui nome deriva dalle sue dimensioni ridotte e dalla sua consistenza erbacea se piantato a primavera. Se piantato in autunno, invece, si presenta come un frumento tenero a taglia alta con spighe molto lunghe di colore rossigno – roseo. La farina viene esclusivamente impiegata per la panificazione mentre la paglia, per la sua resistenza e lunghezza, trova utile collocazione nella manifattura artigianale di cappelli. La coltivazione di questa varietà è ampiamente documentata nella cultura agricola del sud delle Marche, in particolar modo nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo, per poi sconfinare nell’Abruzzo teramano. Negli anni 30 – 40 il grano Jervicella è stato riconosciuto ed iscritto nell’albo nazionale dei cereali dall’Istituto di Genetica “Nazareno Strampelli” di Roma per la cerealicoltura.
Nazareno Strampelli. Un nome che non passa di certo inosservato per chi, come me, è appassionato di sementi e panificazione. All’inizio del ventesimo secolo Nazareno Strampelli fu uno dei principali pionieri nel miglioramento genetico delle piante erbacee. Il principale obiettivo del suo incredibile lavoro è stato quello di migliorare la resistenza del grano alle malattie (ruggine bruna e stretta) e al cosiddetto “allettamento” (ripiegamento a terra delle spighe a causa di vento e pioggia). Celebre, in Abruzzo, è stata una delle ultime varietà da lui selezionata: il San Pastore (1931). Questa cultivar (in agronomia, termine tecnico con cui si indica una varietà coltivata) presenta una spiga di colore rosso, mediamente alta e con maturazione precoce. Nonostante la sua alta produttività il San Pastore è caduto per lungo tempo nel dimenticatoio, e con lui il suo forte valore scientifico, storico e culturale. Fortunatamente molti progetti sono attivi per il suo recupero e la sua valorizzazione.
Perché recuperare, quantomeno la memoria, significa non dimenticare le nostre radici e l’impegno profuso da chi ci ha preceduto per migliorare la nostra qualità di vita. Soprattutto dalle mie parti, dove tutto inizia dal grano. Dal vecchio mulino alla crusca per gli animali, dal lievito madre pieno di vita all’alveolatura della mollica mai uguale a se stessa, dai ramoscelli ginestre per cuocere il pane a chi, il pane, lo ha fatto per una vita.
Venerdi 26 giugno non perdetevi su Rai Due alle 23.55 La terra trema – Coltivare per ricostruire, terzo documentario della serie Experia – Viaggio in Italia nell’anno dell’Expo, dedicato alle eccellenze, alle criticità e alle trasformazioni del territorio abruzzese. Ovviamente ci siamo anche noi, protagonisti del rito dello scambio dei semi.
Articolo a cura di IVAN DI ANTONIO