Rocca di Mezzo si fa set per “La Strada” di Fellini
|Il ricordo di quei giorni a 60 anni dall’uscita del primo film oscar del regista riminese
ROCCA DI MEZZO – Il cinema fu preceduto dalle larghe tese del cappellone di Federico Fellini. Quel cappellone nero che diventò un po’ il suo marchio di fabbrica (campeggio nel manifesto dell’ultimo film omaggio al regista riminese da parte di Ettore Scola) impressionò non poco la gente di Rocca di Mezzo nell’ormai lontano 1953. Qualcuno dice che fu il 1954, lo sostiene anche Liberato Di Sano che nel 2004 per i 50 anni del film “La strada” ha dedicato una mostra fotografica al film che valse il primo oscar nel 1957 al maestro riminese e che venne girato a Rocca di Mezzo. Furono sette sequenze e ne furono montate cinque, come racconta Di Sano nel bel libro Album del 900-Rocca di Mezzo e dintorni, curato da Giandomenico Cifani. Se il film uscì nel 1954 difficilmente venne girato nello stesso anno nell’Altopiano delle Rocche. Certo, che quella troupe portò scompiglio in paese e nel mondo del cinema nazionale. Il film, sceneggiato da Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, fu aspramente criticato alla Mostra del cinema di Venezia perché tradiva i dettami neorealistici, per indulgere nella favola (il circo) e nello spiritualismo, codici e stilemi narrativi che torneranno sempre più spesso nella produzione felliniana. Lontani dalle polemiche stilistiche dividevano critica di sinistra e critica cattolica che inneggiò al film, gli abitanti di Rocca di Mezzo vissero sula propria pelle quell’altro circo fatto di cineprese, luci artificiali, truccatori e ciacchisti. Quel cappellone indicò loro che «erano arrivati li signuri» dalla grande città e dovevano essere trattati con deferenza. «Tanto che _ a detta di Di Sano _ una sequenza non venne come la voleva Fellini. C’erano una bar con biliardino e un negozio di generi alimentari nella piazza princiapale del paese (piazza Principe di Piemonte, nda) l’uno vicino all’altro. Anthony Quinn doveva entrare nel negozio per farsi un panino e si doveva soffermare a guardare quattro ragazzi che giocavano a biliardino. Fu così che il biliardino fu trasferito nel negozio e vennero scelti quattro ragazzi per la finta partita. Fellini si raccomandò di dare l’impressione di giocare una partita accanita, di dire parolaccie e anche bestemmie. Motore, azione, ciak e i ragazzi cominciano a giocare a biliardino muti come pesci. Fellini torna a esortarli di mostrare animosità, nuovo ciak e ancora muti. Si va avanti per un po’ in questo modo fino a che Fellini si stufa e si accontenta della sequenza con i ragazzi muti come pesci. Finita la sequenza i quattro cominciano a insultarsi a vicenda e anche in modo pesante tra lo sbalordimento della troupe e del regista. Si rimproveravano di non aver bestemmiato davanti alla macchina da presa, erano frustrati ma a loro modo coerenti. Non si dicono le parolacce e le bestemmie davanti a li signuri».
Per il resto, il soggiorno della troupe non incontrò intoppi, ma anzi fu coccolata dalla popolazione. Largo IV Novembre all’incrocio con piazza Principe di Piemonte fu teatro dell’esibizione di Zampano’ che spezza le catene e della dolce assistente Gelsomina, che fu intepretata da Giulietta Masina. A Fundoli al limite di un bosco ci fu un’altra sequenza piuttosto animata con inseguimento di Zampanò a Gelsomina. Altra sequenza, che però non venne montata, fu girata lungo la Statale 5Bis nei pressi della sede del Parco Velino Sirente. Un’altra alla cosiddetta Fabbrica di Manuele, a Pontegrosso sullo sfondo di Terranera e sempre a Pontegrosso vicino a dei ruderi lungo la strada che porta al bivio per Rocca di Cambio la scena clou dell’intero film: quando Zampanò abbandona al suo destino Gelsomina.
Ma non finisce qui la gloria cinematografica di Rocca di Cambio. Uno o due anni prima, il paese ricoperto di neve si trasforma in Montenera «il paesello sospeso fra le nuvole», dove viene esiliato Fernandel-don Camillo, nel film di Jacques Duvivier “Il ritorno di don Camillo”.